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EACS 2021
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01/03/2022 12:13 - 04/03/2022 11:08 #1
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EACS 2021 - 18th European AIDS Conference
Data: 27-30 ottobre 2021
Autore: NAM Aidsmap
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XVIII Conferenza Europea sull'AIDS ( EACS 2021 ), che si terrà in modalità virtuale ed a Londra, Regno Unito, dal 27 al 30 ottobre 2021.
Data: 27-30 ottobre 2021
Autore: NAM Aidsmap
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XVIII Conferenza Europea sull'AIDS ( EACS 2021 ), che si terrà in modalità virtuale ed a Londra, Regno Unito, dal 27 al 30 ottobre 2021.
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01/03/2022 12:20 - 01/03/2022 12:23 #2
da LilaMod
Risposta da LilaMod al topic EACS 2021
PRIMO BOLLETTINO
L’abacavir provoca ancora gravi problemi cardiovascolari
Nonostante le linee guida contengano svariati richiami alla cautela nella prescrizione dell’antiretrovirale abacavir agli individui più esposti al rischio di malattie cardiovascolari, un ampio studio internazionale ha rilevato che ogni anno 1 persona su 200 che assume abacavir è colpita da infarto, ictus o altri gravi eventi cardiovascolari. I risultati di questo studio sono stati presentati ieri alla 18° Conferenza Europea sull’AIDS (EACS 2021).
Non sono emerse evidenze che nelle persone che assumevano abacavir il rischio di evento cardiovascolare fosse influenzato da fattori come il rischio cardiovascolare previsto a cinque anni oppure il rischio di malattia renale cronica: in altre parole, le persone con minor rischio di malattie cardiovascolari avevano le stesse probabilità di andare incontro a un evento cardiovascolare delle persone con rischio molto elevato.
Questi dati si riferiscono alla totalità dei partecipanti di RESPOND, uno studio collaborativo internazionale condotto su 17 coorti di persone con HIV in Europa e Australia: una popolazione di pazienti prevalentemente maschi e di mezza età, con diffusi fattori di rischio cardiovascolare.
Primi risultati di efficacia dello studio inglese sulla PrEP IMPACT
Tra gli uomini omo- e bisessuali arruolati per IMPACT, uno studio di implementazione della PrEP condotto in Inghilterra, si è verificato l’87% di infezioni da HIV in meno rispetto a un gruppo comparabile di uomini in carico presso un centro per la salute sessuale che non assumevano la PrEP.
IMPACT è forse il più ampio studio dimostrativo sulla PrEP mai condotto, con ben 24.255 partecipanti – quasi il 96% di sesso maschile, cisgender e omo- e bisessuali, ed è su questo gruppo che si è concentrata l’analisi.
Questi partecipanti sono stati messi a confronto con un gruppo di controllo composto sempre da maschi cisgender omo-e bisessuali che, per comportamenti sessuali a rischio, sarebbero stati eleggibili per ricevere la PrEP.
Nell’arco di tempo preso in considerazione dallo studio, è stata diagnosticata un’infezione da HIV a 24 dei partecipanti del gruppo di intervento – in tutti i casi, con una sola eccezione, probabilmente perché non assumevano correttamente o avevano smesso di assumere i farmaci per la PrEP. Il tasso di incidenza annuo per questo gruppo è stato dello 0,13%, mentre nel gruppo di controllo dei partecipanti che non assumevano al PrEP è arrivato all’1,01%.
C’è bisogno di un più incisivo monitoraggio contro gli abusi domestici
In un grande centro specializzato nell’assistenza a persone HIV-positive di Londra è triplicato il numero di denunce di abusi sessuali dopo che è stato attivato un progetto per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria in cui gli operatori venivano incoraggiati a chiedere regolarmente ai pazienti se ne fossero stati vittima. La maggioranza di queste denunce è arrivata da MSM (uomini che fanno sesso con altri uomini) di nazionalità britannica e non caucasici.
Il personale, dopo aver preso parte a una formazione specifica, ha ricevuto dei promemoria settimanali con relazioni sui dati di monitoraggio degli episodi di abuso e frequenti esortazioni a fare domande in merito a ogni visita. I pazienti che denunciavano abusi venivano inviati a dei consulenti sanitari.
Il progetto ha coinciso con i periodi di lockdown legati all’emergenza COVID-19, una situazione associata con un aumento degli episodi di abuso domestico.
Calano i tassi di HIV multifarmacoresistente
È sempre più raro che insorgano resistenze a tutte e quattro le principali classi di antiretrovirali tra le persone con HIV: è quanto emerge da dati provenienti da Belgio, Germania, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Svezia.
Merita sottolineare che l’analisi presentata alla conferenza comprende dati riguardanti un’ampia coorte di pazienti trattati con una terapia antiretrovirale, anziché individui che hanno fatto specifica richiesta di un test di resistenza. L’analisi ha riguardato quasi 40.000 persone, in un arco di tempo compreso tra il 1996 e il 2019.
Durante il periodo considerato, il 6,9% dei pazienti in trattamento ha sviluppato una resistenza a tre classi di farmaci. La prevalenza di questo tipo di resistenza ha raggiunto il picco nel 2005, quando riguardava il 10% di tutte le persone che assumevano un trattamento antiretrovirale. L’incidenza (ossia il tasso di nuovi casi all’anno) della resistenza a tre classi di farmaci ha toccato il suo massimo sempre nel 2005, raggiungendo il 2,7%, per poi mantener si stabilmente al di sotto dell’1% in tutti gli anni successivi al 2010.
Le linee guida specialistiche che non raccomandano il test per pazienti con malattie indicative di HIV
La diffusione del test per l’HIV in Europa è ostacolata dall’esistenza di linee guida di pratica clinica che non raccomandano di eseguirlo su pazienti con patologie AIDS-definenti o altre patologie suggestive di un’infezione da HIV, si è appreso alla Conferenza.
Sono le risultanze di uno studio i cui autori hanno esaminato 786 linee guida nazionali di 13 paesi europei, rivolte a medici specialisti nel trattamento di patologie che possono essere correlabili alla presenza di un’infezione da HIV.
Soltanto nel 65% delle linee guida esaminate si faceva menzione del test per HIV, e solo il 44% raccomandava effettivamente di farlo eseguire. Anche considerando solo le linee guida su patologie AIDS-definenti, non più del 50% raccomandavano il test. Per fare un esempio, la raccomandazione è stata individuata soltanto nel 15% delle linee guida sul carcinoma della cervice uterina (cancro del collo dell’utero) e nel 18% di quelle sulla polmonite recidivante.
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L’abacavir provoca ancora gravi problemi cardiovascolari
Nonostante le linee guida contengano svariati richiami alla cautela nella prescrizione dell’antiretrovirale abacavir agli individui più esposti al rischio di malattie cardiovascolari, un ampio studio internazionale ha rilevato che ogni anno 1 persona su 200 che assume abacavir è colpita da infarto, ictus o altri gravi eventi cardiovascolari. I risultati di questo studio sono stati presentati ieri alla 18° Conferenza Europea sull’AIDS (EACS 2021).
Non sono emerse evidenze che nelle persone che assumevano abacavir il rischio di evento cardiovascolare fosse influenzato da fattori come il rischio cardiovascolare previsto a cinque anni oppure il rischio di malattia renale cronica: in altre parole, le persone con minor rischio di malattie cardiovascolari avevano le stesse probabilità di andare incontro a un evento cardiovascolare delle persone con rischio molto elevato.
Questi dati si riferiscono alla totalità dei partecipanti di RESPOND, uno studio collaborativo internazionale condotto su 17 coorti di persone con HIV in Europa e Australia: una popolazione di pazienti prevalentemente maschi e di mezza età, con diffusi fattori di rischio cardiovascolare.
Primi risultati di efficacia dello studio inglese sulla PrEP IMPACT
Tra gli uomini omo- e bisessuali arruolati per IMPACT, uno studio di implementazione della PrEP condotto in Inghilterra, si è verificato l’87% di infezioni da HIV in meno rispetto a un gruppo comparabile di uomini in carico presso un centro per la salute sessuale che non assumevano la PrEP.
IMPACT è forse il più ampio studio dimostrativo sulla PrEP mai condotto, con ben 24.255 partecipanti – quasi il 96% di sesso maschile, cisgender e omo- e bisessuali, ed è su questo gruppo che si è concentrata l’analisi.
Questi partecipanti sono stati messi a confronto con un gruppo di controllo composto sempre da maschi cisgender omo-e bisessuali che, per comportamenti sessuali a rischio, sarebbero stati eleggibili per ricevere la PrEP.
Nell’arco di tempo preso in considerazione dallo studio, è stata diagnosticata un’infezione da HIV a 24 dei partecipanti del gruppo di intervento – in tutti i casi, con una sola eccezione, probabilmente perché non assumevano correttamente o avevano smesso di assumere i farmaci per la PrEP. Il tasso di incidenza annuo per questo gruppo è stato dello 0,13%, mentre nel gruppo di controllo dei partecipanti che non assumevano al PrEP è arrivato all’1,01%.
C’è bisogno di un più incisivo monitoraggio contro gli abusi domestici
In un grande centro specializzato nell’assistenza a persone HIV-positive di Londra è triplicato il numero di denunce di abusi sessuali dopo che è stato attivato un progetto per il miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria in cui gli operatori venivano incoraggiati a chiedere regolarmente ai pazienti se ne fossero stati vittima. La maggioranza di queste denunce è arrivata da MSM (uomini che fanno sesso con altri uomini) di nazionalità britannica e non caucasici.
Il personale, dopo aver preso parte a una formazione specifica, ha ricevuto dei promemoria settimanali con relazioni sui dati di monitoraggio degli episodi di abuso e frequenti esortazioni a fare domande in merito a ogni visita. I pazienti che denunciavano abusi venivano inviati a dei consulenti sanitari.
Il progetto ha coinciso con i periodi di lockdown legati all’emergenza COVID-19, una situazione associata con un aumento degli episodi di abuso domestico.
Calano i tassi di HIV multifarmacoresistente
È sempre più raro che insorgano resistenze a tutte e quattro le principali classi di antiretrovirali tra le persone con HIV: è quanto emerge da dati provenienti da Belgio, Germania, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Spagna e Svezia.
Merita sottolineare che l’analisi presentata alla conferenza comprende dati riguardanti un’ampia coorte di pazienti trattati con una terapia antiretrovirale, anziché individui che hanno fatto specifica richiesta di un test di resistenza. L’analisi ha riguardato quasi 40.000 persone, in un arco di tempo compreso tra il 1996 e il 2019.
Durante il periodo considerato, il 6,9% dei pazienti in trattamento ha sviluppato una resistenza a tre classi di farmaci. La prevalenza di questo tipo di resistenza ha raggiunto il picco nel 2005, quando riguardava il 10% di tutte le persone che assumevano un trattamento antiretrovirale. L’incidenza (ossia il tasso di nuovi casi all’anno) della resistenza a tre classi di farmaci ha toccato il suo massimo sempre nel 2005, raggiungendo il 2,7%, per poi mantener si stabilmente al di sotto dell’1% in tutti gli anni successivi al 2010.
Le linee guida specialistiche che non raccomandano il test per pazienti con malattie indicative di HIV
La diffusione del test per l’HIV in Europa è ostacolata dall’esistenza di linee guida di pratica clinica che non raccomandano di eseguirlo su pazienti con patologie AIDS-definenti o altre patologie suggestive di un’infezione da HIV, si è appreso alla Conferenza.
Sono le risultanze di uno studio i cui autori hanno esaminato 786 linee guida nazionali di 13 paesi europei, rivolte a medici specialisti nel trattamento di patologie che possono essere correlabili alla presenza di un’infezione da HIV.
Soltanto nel 65% delle linee guida esaminate si faceva menzione del test per HIV, e solo il 44% raccomandava effettivamente di farlo eseguire. Anche considerando solo le linee guida su patologie AIDS-definenti, non più del 50% raccomandavano il test. Per fare un esempio, la raccomandazione è stata individuata soltanto nel 15% delle linee guida sul carcinoma della cervice uterina (cancro del collo dell’utero) e nel 18% di quelle sulla polmonite recidivante.
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01/03/2022 12:27 - 01/03/2022 12:29 #3
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SECONDO BOLLETTINO
La disomogenea copertura della vaccinazione anti-COVID-19 nelle persone con HIV in Europa centro-orientale
Non in tutti i paesi dell’Europa centro-orientale si sta dando priorità alle persone con HIV per il vaccino anti-COVID-19 e i tassi di vaccinazione in questa popolazione vulnerabile rimangono bassi in alcuni paesi, ha riferito alla conferenza il dott. David Jilich della Charles University di Praga.
Le informazioni raccolte riguardano 22 paesi di Europa centro-orientale, area baltica e balcanica, il Caucaso e la Turchia.
Solo in otto dei 22 paesi considerati è stata data priorità per la vaccinazione alle persone con HIV, e soltanto in tre paesi su 22 sono state elaborate linee guida specifiche per questo gruppo di popolazione. Soltanto in 12 paesi la campagna vaccinale è iniziata entro metà marzo 2021, con ritardi negli altri paesi dovuti alle difficoltà incontrate nell’ottenere le forniture di vaccino e nel completare le procedure di registrazione.
Svizzera, il 50% delle madri con HIV sceglie l’allattamento al seno
Le linee guida svizzere sull'HIV sono state riviste nel 2019 introducendo l’indicazione di offrire alle madri con HIV un colloquio per spiegare rischi e benefici dell'allattamento al seno e dell'allattamento artificiale, in modo che possano scegliere – a condizione che abbiano una carica virale non rilevabile – la modalità con cui preferiscono alimentare il proprio bambino.
Le future madri partecipano a un incontro con un gruppo multidisciplinare di esperti (ostetrici, ginecologi, specialisti nel trattamento dell’HIV e dell’HIV pediatrico) in cui viene spiegato loro quali sono le possibilità di trasmissione e come evitarle. Per le madri che optano per l'allattamento al seno si procede a un monitoraggio intensificato della carica virale, e i loro figli vengono sottoposti al test per l'HIV a intervalli più regolari.
Il dott. Pierre-Alex Crisinel dell’Ospedale Universitario di Losanna ha riferito a EACS 2021 in merito alle prime 41 madri che hanno partorito dopo che è stata introdotta questa nuova politica. Quasi la metà (20) ha deciso di allattare al seno anche a costo di sottoporsi più assiduamente al monitoraggio. Le donne che avevano contratto l’infezione da HIV da più tempo sono risultate più inclini a scegliere di allattare al seno.
Declino della funzionalità polmonare accelerato nelle persone con HIV
La dott.ssa Rebekka Thudium dell’Università di Copenaghen ha riferito alla Conferenza che le persone con HIV che assumono una terapia antiretrovirale efficace hanno un tasso più rapido di declino della funzionalità polmonare rispetto alle persone HIV-negative.
La malattia polmonare cronica è diffusa tra le persone con HIV. A questa patologia possono contribuire sia fattori di rischio riscontrati anche nella popolazione generale che fattori di rischio HIV-correlati, e sono pochi gli studi che hanno misurato la funzionalità polmonare nelle persone con HIV nel tempo.
Lo studio presentato a EACS 2021 ha preso in considerazione 1130 persone appartenenti a due coorti di pazienti HIV-sieropositivi di Danimarca e Stati Uniti, mettendoli a confronto con un gruppo di controllo di persone HIV-negative della popolazione generale danese, abbinando i partecipanti per età e sesso.
Outcome primario era il tasso annuale di declino di un parametro noto come volume espiratorio massimo nel primo secondo (noto anche con la locuzione inglese Forced Expiratory Volume1, o FEV1), che indica il volume massimo di aria espirata nel corso del primo secondo di una espirazione forzata. In media, i partecipanti con HIV avevano un declino di 8,5 ml all'anno in più.
Alta partecipazione di persone trans allo studio inglese sulla PrEP
Poco più della metà di tutte le persone trans e non binarie che si sono rivolte a un centro per la salute sessuale in Inghilterra nel periodo in cui era in corso lo studio IMPACT trial ha finito per parteciparvi, ha riferito alla Conferenza il dott. Matthew Hibbert dell'Agenzia per la Sicurezza Sanitaria del Regno Unito.
IMPACT è un ampio studio inglese di implementazione della PrEP condotto tra ottobre 2017 e luglio 2020, prima che la PrEP diventasse disponibile di routine nel paese. La stragrande maggioranza dei 24.255 partecipanti erano uomini cisgender omo-e bisessuali, con un più piccolo contingente di uomini e donne cisgender eterosessuali. Attivisti e sostenitori della comunità trans si sono adoperati in concerto con gli operatori del centro specializzato in salute sessuale CliniQ di Londra per coinvolgere persone trans e non binarie.
Grazie a questi sforzi hanno partecipato a IMPACT 501 persone trans e non binarie (su 978 utenti registrati dai centri per la salute sessuale come aventi un genere diverso da quello corrispondente al loro sesso di nascita). Degli utenti che non hanno aderito allo studio, la maggior parte non è stata ritenuta a rischio di HIV sufficientemente elevato da richiedere un invio. Restano però 75 persone che sarebbero state idonee per la PrEP e a cui non è invece stata offerta.
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La disomogenea copertura della vaccinazione anti-COVID-19 nelle persone con HIV in Europa centro-orientale
Non in tutti i paesi dell’Europa centro-orientale si sta dando priorità alle persone con HIV per il vaccino anti-COVID-19 e i tassi di vaccinazione in questa popolazione vulnerabile rimangono bassi in alcuni paesi, ha riferito alla conferenza il dott. David Jilich della Charles University di Praga.
Le informazioni raccolte riguardano 22 paesi di Europa centro-orientale, area baltica e balcanica, il Caucaso e la Turchia.
Solo in otto dei 22 paesi considerati è stata data priorità per la vaccinazione alle persone con HIV, e soltanto in tre paesi su 22 sono state elaborate linee guida specifiche per questo gruppo di popolazione. Soltanto in 12 paesi la campagna vaccinale è iniziata entro metà marzo 2021, con ritardi negli altri paesi dovuti alle difficoltà incontrate nell’ottenere le forniture di vaccino e nel completare le procedure di registrazione.
Svizzera, il 50% delle madri con HIV sceglie l’allattamento al seno
Le linee guida svizzere sull'HIV sono state riviste nel 2019 introducendo l’indicazione di offrire alle madri con HIV un colloquio per spiegare rischi e benefici dell'allattamento al seno e dell'allattamento artificiale, in modo che possano scegliere – a condizione che abbiano una carica virale non rilevabile – la modalità con cui preferiscono alimentare il proprio bambino.
Le future madri partecipano a un incontro con un gruppo multidisciplinare di esperti (ostetrici, ginecologi, specialisti nel trattamento dell’HIV e dell’HIV pediatrico) in cui viene spiegato loro quali sono le possibilità di trasmissione e come evitarle. Per le madri che optano per l'allattamento al seno si procede a un monitoraggio intensificato della carica virale, e i loro figli vengono sottoposti al test per l'HIV a intervalli più regolari.
Il dott. Pierre-Alex Crisinel dell’Ospedale Universitario di Losanna ha riferito a EACS 2021 in merito alle prime 41 madri che hanno partorito dopo che è stata introdotta questa nuova politica. Quasi la metà (20) ha deciso di allattare al seno anche a costo di sottoporsi più assiduamente al monitoraggio. Le donne che avevano contratto l’infezione da HIV da più tempo sono risultate più inclini a scegliere di allattare al seno.
Declino della funzionalità polmonare accelerato nelle persone con HIV
La dott.ssa Rebekka Thudium dell’Università di Copenaghen ha riferito alla Conferenza che le persone con HIV che assumono una terapia antiretrovirale efficace hanno un tasso più rapido di declino della funzionalità polmonare rispetto alle persone HIV-negative.
La malattia polmonare cronica è diffusa tra le persone con HIV. A questa patologia possono contribuire sia fattori di rischio riscontrati anche nella popolazione generale che fattori di rischio HIV-correlati, e sono pochi gli studi che hanno misurato la funzionalità polmonare nelle persone con HIV nel tempo.
Lo studio presentato a EACS 2021 ha preso in considerazione 1130 persone appartenenti a due coorti di pazienti HIV-sieropositivi di Danimarca e Stati Uniti, mettendoli a confronto con un gruppo di controllo di persone HIV-negative della popolazione generale danese, abbinando i partecipanti per età e sesso.
Outcome primario era il tasso annuale di declino di un parametro noto come volume espiratorio massimo nel primo secondo (noto anche con la locuzione inglese Forced Expiratory Volume1, o FEV1), che indica il volume massimo di aria espirata nel corso del primo secondo di una espirazione forzata. In media, i partecipanti con HIV avevano un declino di 8,5 ml all'anno in più.
Alta partecipazione di persone trans allo studio inglese sulla PrEP
Poco più della metà di tutte le persone trans e non binarie che si sono rivolte a un centro per la salute sessuale in Inghilterra nel periodo in cui era in corso lo studio IMPACT trial ha finito per parteciparvi, ha riferito alla Conferenza il dott. Matthew Hibbert dell'Agenzia per la Sicurezza Sanitaria del Regno Unito.
IMPACT è un ampio studio inglese di implementazione della PrEP condotto tra ottobre 2017 e luglio 2020, prima che la PrEP diventasse disponibile di routine nel paese. La stragrande maggioranza dei 24.255 partecipanti erano uomini cisgender omo-e bisessuali, con un più piccolo contingente di uomini e donne cisgender eterosessuali. Attivisti e sostenitori della comunità trans si sono adoperati in concerto con gli operatori del centro specializzato in salute sessuale CliniQ di Londra per coinvolgere persone trans e non binarie.
Grazie a questi sforzi hanno partecipato a IMPACT 501 persone trans e non binarie (su 978 utenti registrati dai centri per la salute sessuale come aventi un genere diverso da quello corrispondente al loro sesso di nascita). Degli utenti che non hanno aderito allo studio, la maggior parte non è stata ritenuta a rischio di HIV sufficientemente elevato da richiedere un invio. Restano però 75 persone che sarebbero state idonee per la PrEP e a cui non è invece stata offerta.
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01/03/2022 12:33 - 01/03/2022 12:39 #4
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TERZO BOLLETTINO
Serviranno nuovi sistemi per somministrare le terapie iniettabili
Il dott. Jonathan Angel dell’Ospedale Universitario di Ottawa, in Canada, ha parlato la scorsa settimana alla 18° Conferenza Europea sull’AIDS (EACS 2021) della sua esperienza pratica con la prescrizione dei nuovi antiretrovirali cabotegravir e rilpivirina in formulazione iniettabile. Il dott. Angel non solo ha cinque anni di esperienza nella somministrazione di questi farmaci nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, ma è anche uno dei primi medici a somministrarli come trattamento farmacologico di routine.
Il Canada è stato il primo paese ad autorizzare il trattamento antiretrovirale a lunga durata d'azione in questa combinazione, commercializzata in Nord America con il marchio Cabenuva. In Europa, le due formulazioni di farmaci sono in commercio con due marchi separati, Vocabria e Rekambys.
Segnalato un caso di escrezione virale prolungata di SARS-CoV-2 in una paziente immunocompromessa
I pazienti con infezione da HIV gravemente immunocompromessi possono presentare una prolungata escrezione virale di SARS-CoV-2 (il virus responsabile del COVID-19) senza mostrare sintomi clinici, stando a quanto si evince da un case study presentato alla Conferenza.
Il dott. Irfaan Maan dell’University College di Londra (UCL) ha descritto il caso di una 28enne HIV-positiva a cui a metà 2020 è stato diagnosticato un linfoma a cellule B (un sottotipo di linfoma non-Hodgkin): la paziente presentava una conta dei CD4 di 30 e una carica virale di 354.814 copie/ml, aveva alle spalle una lunga storia di aderenza subottimale alle terapie antiretrovirali e il linfoma le era stato diagnosticato dopo un’interruzione del trattamento durata 10 mesi.
Elevata accettabilità del vaccino anti-COVID-19 tra le persone HIV+
Una serie di indagini, condotte in svariati contesti, non ha riscontrato livelli insoliti di esitazione vaccinale (riluttanza, ritardo o rifiuto all’adesione) per il vaccino anti-COVID-19 nella popolazione HIV-positiva, è stato riferito alla Conferenza la settimana scorsa. L’indagine più ampia tra quelle presentate è quella condotta in Argentina, su un campione di 1486 persone HIV+: l’84% di questi pazienti ha dichiarato che si sarebbero fatti vaccinare se glielo avesse raccomandato un operatore sanitario, e il 79% se fosse stato reso obbligatorio dal governo. Chi esitava, invece, era mosso principalmente da preoccupazioni circa la sicurezza del vaccino.
Sostanzialmente simili sono i risultati di analoghe indagini condotte in Grecia (81% già vaccinati o disponibili a vaccinarsi), Turchia (70%), Medio Oriente (65%) e nelle fasce più giovani di popolazione nel Regno Unito (75%). Pochi sono i fattori demografici risultati associati all’esitazione vaccinale nei vari studi, e tra questi si possono citare il sesso (femminile), un livello di istruzione più basso e il fatto di non abitare in un grande centro urbano.
Europa ancora lontana dagli obiettivi prefissati per l’eradicazione dell’epatite C
Gli Stati dell’Unione Europea sono ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi globali per l’eradicazione dell’epatite C, soprattutto per quanto riguarda riduzione del danno, test e trattamento: è quanto ha riferito alla Conferenza la dott.ssa Erika Duffell del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC).
Con gli obiettivi globali stabiliti nel 2016 ci si prefissava di ridurre del 90% le nuove infezioni virali da epatite e del 65% i decessi dovuti all'epatite virale entro il 2030. La dott.ssa Duffell ha esaminato i progressi finora compiuti verso l’eradicazione dell’epatite C, quella predominante nella regione europea. La maggior parte dei paesi della regione, però, non dispone di stime aggiornate sul numero di persone con epatite C, né su quello delle diagnosi recenti o su quello dei pazienti che con il trattamento aveva raggiunto una risposta virologica sostenuta.
Anche la riduzione del danno non ha ancora raggiunto livelli soddisfacenti. Nel 2019, soltanto tre paesi avevano centrato l’obiettivo di distribuire 200 siringhe per consumatore di sostanze stupefacenti per via iniettiva all’anno, e solo nove hanno riferito di aver raggiunto l’obiettivo di garantire una terapia sostitutiva degli oppiacei al 40% dei consumatori ad alto rischio.
Resta limitata l’offerta della PrEP in Europa centro-orientale
L’offerta di profilassi pre-esposizione (PrEP) da assumere per via orale è ancora lontanissima dall’essere sufficiente nelle regioni d’Europa dove ce ne sarebbe maggiormente bisogno, ha riferito alla Conferenza la dott.ssa Justyna Kowalska dell’Università di Varsavia.
Anche nel paese in cui la PrEP è disponibile per il numero di persone più alto di qualsiasi altro nell'Europa centro-orientale – l'Ucraina, con poco meno di 4000 persone che hanno iniziato ad assumere la PrEP dal 2018 – fornirebbe la PrEP a 62.500 persone, se il suo programma PrEP fosse commisurato alla sua popolazione di persone HIV+ come lo sono i programmi analoghi presenti in paesi come Francia o Regno Unito. E se anche la Polonia ha un programma relativamente ampio, l’offerta di PrEP in paesi come Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Georgia e Moldavia è ancora limitata. In sei paesi della regione, poi, addirittura non ci sono ancora piani per l’autorizzazione dei farmaci impiegati per la PrEP.
Persistono gli ostacoli istituzionali all’ampliamento dei programmi per la PrEP: per esempio in alcuni paesi non vengono finanziati dal sistema sanitario; oppure la PrEP non viene raccomandata nelle linee guida nazionali; oppure ancora i farmaci non sono formalmente autorizzati nel paese, il che significa che la loro prescrizione sarebbe “off label” (ossia non in conformità a quanto previsto dalle indicazioni ufficiali) e il medico sarebbe responsabile di eventuali conseguenze dannose.
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Serviranno nuovi sistemi per somministrare le terapie iniettabili
Il dott. Jonathan Angel dell’Ospedale Universitario di Ottawa, in Canada, ha parlato la scorsa settimana alla 18° Conferenza Europea sull’AIDS (EACS 2021) della sua esperienza pratica con la prescrizione dei nuovi antiretrovirali cabotegravir e rilpivirina in formulazione iniettabile. Il dott. Angel non solo ha cinque anni di esperienza nella somministrazione di questi farmaci nell’ambito delle sperimentazioni cliniche, ma è anche uno dei primi medici a somministrarli come trattamento farmacologico di routine.
Il Canada è stato il primo paese ad autorizzare il trattamento antiretrovirale a lunga durata d'azione in questa combinazione, commercializzata in Nord America con il marchio Cabenuva. In Europa, le due formulazioni di farmaci sono in commercio con due marchi separati, Vocabria e Rekambys.
Segnalato un caso di escrezione virale prolungata di SARS-CoV-2 in una paziente immunocompromessa
I pazienti con infezione da HIV gravemente immunocompromessi possono presentare una prolungata escrezione virale di SARS-CoV-2 (il virus responsabile del COVID-19) senza mostrare sintomi clinici, stando a quanto si evince da un case study presentato alla Conferenza.
Il dott. Irfaan Maan dell’University College di Londra (UCL) ha descritto il caso di una 28enne HIV-positiva a cui a metà 2020 è stato diagnosticato un linfoma a cellule B (un sottotipo di linfoma non-Hodgkin): la paziente presentava una conta dei CD4 di 30 e una carica virale di 354.814 copie/ml, aveva alle spalle una lunga storia di aderenza subottimale alle terapie antiretrovirali e il linfoma le era stato diagnosticato dopo un’interruzione del trattamento durata 10 mesi.
Elevata accettabilità del vaccino anti-COVID-19 tra le persone HIV+
Una serie di indagini, condotte in svariati contesti, non ha riscontrato livelli insoliti di esitazione vaccinale (riluttanza, ritardo o rifiuto all’adesione) per il vaccino anti-COVID-19 nella popolazione HIV-positiva, è stato riferito alla Conferenza la settimana scorsa. L’indagine più ampia tra quelle presentate è quella condotta in Argentina, su un campione di 1486 persone HIV+: l’84% di questi pazienti ha dichiarato che si sarebbero fatti vaccinare se glielo avesse raccomandato un operatore sanitario, e il 79% se fosse stato reso obbligatorio dal governo. Chi esitava, invece, era mosso principalmente da preoccupazioni circa la sicurezza del vaccino.
Sostanzialmente simili sono i risultati di analoghe indagini condotte in Grecia (81% già vaccinati o disponibili a vaccinarsi), Turchia (70%), Medio Oriente (65%) e nelle fasce più giovani di popolazione nel Regno Unito (75%). Pochi sono i fattori demografici risultati associati all’esitazione vaccinale nei vari studi, e tra questi si possono citare il sesso (femminile), un livello di istruzione più basso e il fatto di non abitare in un grande centro urbano.
Europa ancora lontana dagli obiettivi prefissati per l’eradicazione dell’epatite C
Gli Stati dell’Unione Europea sono ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi globali per l’eradicazione dell’epatite C, soprattutto per quanto riguarda riduzione del danno, test e trattamento: è quanto ha riferito alla Conferenza la dott.ssa Erika Duffell del Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC).
Con gli obiettivi globali stabiliti nel 2016 ci si prefissava di ridurre del 90% le nuove infezioni virali da epatite e del 65% i decessi dovuti all'epatite virale entro il 2030. La dott.ssa Duffell ha esaminato i progressi finora compiuti verso l’eradicazione dell’epatite C, quella predominante nella regione europea. La maggior parte dei paesi della regione, però, non dispone di stime aggiornate sul numero di persone con epatite C, né su quello delle diagnosi recenti o su quello dei pazienti che con il trattamento aveva raggiunto una risposta virologica sostenuta.
Anche la riduzione del danno non ha ancora raggiunto livelli soddisfacenti. Nel 2019, soltanto tre paesi avevano centrato l’obiettivo di distribuire 200 siringhe per consumatore di sostanze stupefacenti per via iniettiva all’anno, e solo nove hanno riferito di aver raggiunto l’obiettivo di garantire una terapia sostitutiva degli oppiacei al 40% dei consumatori ad alto rischio.
Resta limitata l’offerta della PrEP in Europa centro-orientale
L’offerta di profilassi pre-esposizione (PrEP) da assumere per via orale è ancora lontanissima dall’essere sufficiente nelle regioni d’Europa dove ce ne sarebbe maggiormente bisogno, ha riferito alla Conferenza la dott.ssa Justyna Kowalska dell’Università di Varsavia.
Anche nel paese in cui la PrEP è disponibile per il numero di persone più alto di qualsiasi altro nell'Europa centro-orientale – l'Ucraina, con poco meno di 4000 persone che hanno iniziato ad assumere la PrEP dal 2018 – fornirebbe la PrEP a 62.500 persone, se il suo programma PrEP fosse commisurato alla sua popolazione di persone HIV+ come lo sono i programmi analoghi presenti in paesi come Francia o Regno Unito. E se anche la Polonia ha un programma relativamente ampio, l’offerta di PrEP in paesi come Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Georgia e Moldavia è ancora limitata. In sei paesi della regione, poi, addirittura non ci sono ancora piani per l’autorizzazione dei farmaci impiegati per la PrEP.
Persistono gli ostacoli istituzionali all’ampliamento dei programmi per la PrEP: per esempio in alcuni paesi non vengono finanziati dal sistema sanitario; oppure la PrEP non viene raccomandata nelle linee guida nazionali; oppure ancora i farmaci non sono formalmente autorizzati nel paese, il che significa che la loro prescrizione sarebbe “off label” (ossia non in conformità a quanto previsto dalle indicazioni ufficiali) e il medico sarebbe responsabile di eventuali conseguenze dannose.
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