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CROI 2020
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18/03/2020 12:03 - 18/03/2020 12:03 #1
da LilaMod
Data: 8 - 11 marzo 2020
Autore: NAM - Traduzione italiana a cura di LILA Onlus
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXVII Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche , che si terrà a Boston, negli Stati Uniti, dall'8 all'11 marzo 2020.
NAM sarà presente e riferirà sui temi chiave della Conferenza inviando bollettini riassuntivi (in italiano, grazie alla collaborazione con LILA Onlus) via email.
Sarà possibile richiedere i bollettini semplicemente inviando una mail all'indirizzo croi2020@lila.it .
CROI 2020 è stato creato da LilaMod
Data: 8 - 11 marzo 2020
Autore: NAM - Traduzione italiana a cura di LILA Onlus
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line della XXVII Conferenza sui Retrovirus ed Infezioni Opportunistiche , che si terrà a Boston, negli Stati Uniti, dall'8 all'11 marzo 2020.
NAM sarà presente e riferirà sui temi chiave della Conferenza inviando bollettini riassuntivi (in italiano, grazie alla collaborazione con LILA Onlus) via email.
Sarà possibile richiedere i bollettini semplicemente inviando una mail all'indirizzo croi2020@lila.it .
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18/03/2020 12:18 - 18/03/2020 12:19 #2
da LilaMod
‘Paziente di Londra’ ancora in remissione dall’HIV.
Il cosiddetto ‘paziente di Londra’ continua a non presentare tracce di HIV trenta mesi dopo l’interruzione delle terapie antiretrovirali: a riferirlo è il prof. Ravindra Gupta dell’University College di Londra alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche di quest’anno. Questa edizione della conferenza si sta svolgendo in modalità virtuale dopo che è stato deciso di annullare l’incontro degli studiosi di persona a Boston a causa dell’emergenza sanitaria da nuovo coronavirus e sindrome COVID-19. Nel 2016, l’uomo si era sottoposto a trapianto di midollo osseo per trattare un linfoma usando cellule staminali di un donatore con una resistenza naturale all’HIV. Si tratta di una procedura ad alto rischio, impensabile per le persone con HIV che non necessitano dell’intervento a causa di una malattia oncologica: ciò nonostante, la comunità scientifica sta studiando diversi approcci per replicarne gli effetti utilizzando la terapia genica.
Antiretrovirali e aumento di peso, più elevato il rischio di diabete.
L’aumento di peso che accompagna l’inizio delle terapie antiretrovirali determina con tutta probabilità un rischio più elevato di sviluppare il diabete, mentre non sembra influire sul rischio di malattia cardiovascolare: è quanto emerge dai risultati di due ampie analisi presentate a CROI 2020. In vari trial randomizzati condotti in Africa sub-sahariana e studi di coorte in Nord America ed Europa si è osservato che, a seguito dell’inizio delle terapie antiretrovirali, si verificano cospicui aumenti di peso soprattutto nelle donne nere e nei pazienti che assumono sia dolutegravir che tenofovir alafenamide (TAF).
La migliore costo-efficacia della formulazione generica di TDF/FTC per la PrEP negli Stati Uniti.
Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Harvard e presentato a CROI 2020, i costi extra che il sistema sanitario statunitense dovrebbe sostenere per un nuovo farmaco di marca per la PrEP al posto della vecchia versione (il cui prezzo è presto destinato a calare) non sono giustificabili, a fronte di effetti collaterali solo minimamente meno pesanti. Lo studio DISCOVER ha messo a confronto due combinazioni di farmaci impiegabili per la PrEP: quella prescritta generalmente, composta da tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina (FTC) e commercializzata col nome Truvada, e una di più recente introduzione, a base di tenofovir alafenamide (TAF) ed emtricitabina e commercializzata con il nome Descovy. Dall’analisi è risultato che le due combinazioni avevano profili equivalenti in termini di sicurezza ed efficacia, ma con il Truvada si osservava un’alterazione della funzionalità renale.
Australia, diminuisce di tre quarti l’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali: e c’è una forte associazione con la TasP.
La terapia come prevenzione (treatment as prevention, o TasP), misurata in termini di soppressione virale a livello di comunità, è risultata fortemente associata al cospicuo calo delle nuove infezioni osservato tra uomini gay e bisessuali in Australia, anche prima che fosse disponibile la PrEP. Sono i risultati di uno studio presentato a CROI 2020 dal dott. Denton Callander dell’Università del New South Wales. Nonostante gli evidenti benefici a livello individuale della TasP (concetto a cui si fa riferimento anche con l’equazione Undetectable = Untransmittable, U=U, ossia “irrilevabile = intrasmissibile”), mancano ancora studi su larga scala che ne valutino l’impatto a livello di comunità con misurazioni dirette dell’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali.
Offerta del trattamento HIV in contesti non-clinici più efficace che in quelli convenzionali per gli uomini in Sudafrica.
In Sudafrica è stata condotta una sperimentazione che prevedeva l’inizio immediato delle terapie antiretrovirali il giorno stesso della diagnosi con somministrazione dei farmaci al di fuori dei contesti sanitari consolidati, in un’unità mobile appositamente predisposta sul territorio. Lo studio randomizzato DO ART ha così ottenuto un aumento dei tassi di soppressione virale, soprattutto tra gli uomini. Nell’Africa sub-sahariana, gli uomini con HIV hanno meno probabilità di avere una diagnosi, di entrare in un percorso di cura e – in certi contesti – di ricevere terapie antiretrovirali. In molti paesi, infatti, l’aggancio alle cure per quanto riguarda gli uomini presenta non poche difficoltà.
Farmaci iniettabili long-acting, testata la somministrazione bimestrale.
Una combinazione di due farmaci a lunga durata d’azione somministrati per via iniettiva solo una volta ogni due mesi ha mostrato un’efficacia nella soppressione della carica virale HIV paragonabile a quella delle iniezioni mensili, stando a uno studio presentato a CROI 2020. Poter assumere i farmaci soltanto ogni due mesi è sicuramente più comodo e potrebbe dare benefici in termini di aderenza terapeutica. Nello studio presentato alla Conferenza, tuttavia, i pazienti trattati con questo tipo di regime sono risultati più soggetti allo sviluppo di farmacoresistenze se non riuscivano a mantenere soppressa la carica virale.
Lesotho, buona la ritenzione in cura anche con ritiro farmaci ogni sei mesi.
Distribuire gli antiretrovirali a pazienti in soppressione virale ogni sei mesi è efficace quanto farlo ogni tre, stando ai risultati di uno studio condotto in Lesotho. Comparando i pazienti che si recavano a ritirare i farmaci ogni sei mesi in un punto di erogazione attivo sul territorio con quelli in carico presso una struttura medica o comunque afferenti a centri dove era offerto sostegno per rafforzare l’aderenza terapeutica, non sono state rilevate differenze in termini di probabilità che qualcuno smettesse di presentarsi. Dover andare meno frequentemente a ritirare i farmaci potrebbe dunque essere un incentivo per i pazienti in trattamento stabile a restare in cura e a mantenere l’aderenza terapeutica.
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Risposta da LilaMod al topic CROI 2020
PRIMO BOLLETTINO
‘Paziente di Londra’ ancora in remissione dall’HIV.
Il cosiddetto ‘paziente di Londra’ continua a non presentare tracce di HIV trenta mesi dopo l’interruzione delle terapie antiretrovirali: a riferirlo è il prof. Ravindra Gupta dell’University College di Londra alla Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche di quest’anno. Questa edizione della conferenza si sta svolgendo in modalità virtuale dopo che è stato deciso di annullare l’incontro degli studiosi di persona a Boston a causa dell’emergenza sanitaria da nuovo coronavirus e sindrome COVID-19. Nel 2016, l’uomo si era sottoposto a trapianto di midollo osseo per trattare un linfoma usando cellule staminali di un donatore con una resistenza naturale all’HIV. Si tratta di una procedura ad alto rischio, impensabile per le persone con HIV che non necessitano dell’intervento a causa di una malattia oncologica: ciò nonostante, la comunità scientifica sta studiando diversi approcci per replicarne gli effetti utilizzando la terapia genica.
Antiretrovirali e aumento di peso, più elevato il rischio di diabete.
L’aumento di peso che accompagna l’inizio delle terapie antiretrovirali determina con tutta probabilità un rischio più elevato di sviluppare il diabete, mentre non sembra influire sul rischio di malattia cardiovascolare: è quanto emerge dai risultati di due ampie analisi presentate a CROI 2020. In vari trial randomizzati condotti in Africa sub-sahariana e studi di coorte in Nord America ed Europa si è osservato che, a seguito dell’inizio delle terapie antiretrovirali, si verificano cospicui aumenti di peso soprattutto nelle donne nere e nei pazienti che assumono sia dolutegravir che tenofovir alafenamide (TAF).
La migliore costo-efficacia della formulazione generica di TDF/FTC per la PrEP negli Stati Uniti.
Secondo uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Harvard e presentato a CROI 2020, i costi extra che il sistema sanitario statunitense dovrebbe sostenere per un nuovo farmaco di marca per la PrEP al posto della vecchia versione (il cui prezzo è presto destinato a calare) non sono giustificabili, a fronte di effetti collaterali solo minimamente meno pesanti. Lo studio DISCOVER ha messo a confronto due combinazioni di farmaci impiegabili per la PrEP: quella prescritta generalmente, composta da tenofovir disoproxil fumarato (TDF) ed emtricitabina (FTC) e commercializzata col nome Truvada, e una di più recente introduzione, a base di tenofovir alafenamide (TAF) ed emtricitabina e commercializzata con il nome Descovy. Dall’analisi è risultato che le due combinazioni avevano profili equivalenti in termini di sicurezza ed efficacia, ma con il Truvada si osservava un’alterazione della funzionalità renale.
Australia, diminuisce di tre quarti l’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali: e c’è una forte associazione con la TasP.
La terapia come prevenzione (treatment as prevention, o TasP), misurata in termini di soppressione virale a livello di comunità, è risultata fortemente associata al cospicuo calo delle nuove infezioni osservato tra uomini gay e bisessuali in Australia, anche prima che fosse disponibile la PrEP. Sono i risultati di uno studio presentato a CROI 2020 dal dott. Denton Callander dell’Università del New South Wales. Nonostante gli evidenti benefici a livello individuale della TasP (concetto a cui si fa riferimento anche con l’equazione Undetectable = Untransmittable, U=U, ossia “irrilevabile = intrasmissibile”), mancano ancora studi su larga scala che ne valutino l’impatto a livello di comunità con misurazioni dirette dell’incidenza HIV tra gli uomini gay e bisessuali.
Offerta del trattamento HIV in contesti non-clinici più efficace che in quelli convenzionali per gli uomini in Sudafrica.
In Sudafrica è stata condotta una sperimentazione che prevedeva l’inizio immediato delle terapie antiretrovirali il giorno stesso della diagnosi con somministrazione dei farmaci al di fuori dei contesti sanitari consolidati, in un’unità mobile appositamente predisposta sul territorio. Lo studio randomizzato DO ART ha così ottenuto un aumento dei tassi di soppressione virale, soprattutto tra gli uomini. Nell’Africa sub-sahariana, gli uomini con HIV hanno meno probabilità di avere una diagnosi, di entrare in un percorso di cura e – in certi contesti – di ricevere terapie antiretrovirali. In molti paesi, infatti, l’aggancio alle cure per quanto riguarda gli uomini presenta non poche difficoltà.
Farmaci iniettabili long-acting, testata la somministrazione bimestrale.
Una combinazione di due farmaci a lunga durata d’azione somministrati per via iniettiva solo una volta ogni due mesi ha mostrato un’efficacia nella soppressione della carica virale HIV paragonabile a quella delle iniezioni mensili, stando a uno studio presentato a CROI 2020. Poter assumere i farmaci soltanto ogni due mesi è sicuramente più comodo e potrebbe dare benefici in termini di aderenza terapeutica. Nello studio presentato alla Conferenza, tuttavia, i pazienti trattati con questo tipo di regime sono risultati più soggetti allo sviluppo di farmacoresistenze se non riuscivano a mantenere soppressa la carica virale.
Lesotho, buona la ritenzione in cura anche con ritiro farmaci ogni sei mesi.
Distribuire gli antiretrovirali a pazienti in soppressione virale ogni sei mesi è efficace quanto farlo ogni tre, stando ai risultati di uno studio condotto in Lesotho. Comparando i pazienti che si recavano a ritirare i farmaci ogni sei mesi in un punto di erogazione attivo sul territorio con quelli in carico presso una struttura medica o comunque afferenti a centri dove era offerto sostegno per rafforzare l’aderenza terapeutica, non sono state rilevate differenze in termini di probabilità che qualcuno smettesse di presentarsi. Dover andare meno frequentemente a ritirare i farmaci potrebbe dunque essere un incentivo per i pazienti in trattamento stabile a restare in cura e a mantenere l’aderenza terapeutica.
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18/03/2020 12:26 #3
da LilaMod
Il trattamento con dolutegravir è l’opzione terapeutica più sicura ed efficace in gravidanza.
In uno studio denominato IMPAACT 2010, il trattamento antiretrovirale a base di dolutegravir è risultato associato con migliori tassi di abbattimento della carica virale al momento del parto. Un regime che comprendeva sia dolutegravir che tenofovir alafenamide è poi risultato associato a un numero inferiore di parti prematuri e morti neonatali rispetto a uno a base di efavirenz. In molti paesi si sta introducendo il trattamento a base di dolutegravir come terapia di prima linea per l’infezione da HIV. Nel 2018 erano state espresse preoccupazioni circa la sicurezza della somministrazione di dolutegravir nelle prime fasi di gravidanza, dopo che in uno studio condotto in Botswana erano inizialmente stati osservati tassi più alti di difetti del tubo neurale nei neonati. Tuttavia, dopo un follow-up a più lungo termine si è concluso che questo rischio è meno elevato di quanto paventato in un primo momento, e pertanto dal luglio 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda il dolutegravir a tutti, comprese le donne in età fertile.
Risposta all’emergenza coronavirus e implicazioni per le persone con HIV: parlano gli esperti.
Sono intervenuti questa settimana a CROI 2020 dei funzionari di salute pubblica provenienti da Stati Uniti e Cina a riferire in merito agli aggiornamenti sull’epidemiologia del nuovo coronavirus e sulla risposta all’emergenza. La Conferenza stessa si sta tenendo in modalità virtuale, con le presentazioni trasmesse via web, proprio per via delle preoccupazioni circa la diffusione di questa infezione. Sebbene non ci siano per il momento dati specifici relativi all’infezione da coronavirus in persone con HIV, hanno detto gli esperti, il rischio potrebbe essere elevato per gli individui con basse conte dei CD4 e per quelli che non hanno accesso regolare al trattamento.
Stati Uniti, anche dopo la revoca del divieto di donazione del sangue per gli omosessuali non aumentano i campioni infetti da HIV.
Da quando le autorità statunitensi hanno rivisto le direttive per la donazione di sangue da parte di uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) non si sono osservati aumenti nella percentuale di campioni di sangue donato che presentavano una recente infezione da HIV, è stato riferito questa settimana a CROI 2020. Il sangue raccolto viene sempre analizzato per verificare la presenza dell’HIV, ma c’è un cosiddetto ‘periodo finestra’ in cui i test non riescono a rilevare le infezioni più recenti: di conseguenza, un’esigua quantità di campioni di sangue infetto sfugge ai controlli. Dal momento che gli MSM hanno tassi di infezione da HIV molto più elevati del resto della popolazione, i legislatori tendono a impedire loro di donare. Per molti uomini gay e bisessuali, tuttavia, questa esclusione è stigmatizzante e discriminatoria.
L’abbassamento della carica virale a livello di comunità riduce l’incidenza HIV, ma non basta a eliminare il virus.
Dai dati aggregati di oltre 250.000 persone che hanno partecipato a programmi di ‘test and treat’ nell’Africa sub-sahariana arriva la conferma che riducendo la quantità di persone con HIV non virologicamente soppresse si riducono anche i tassi di nuove infezioni nelle rispettive comunità. Ma anche un’offerta così ampia di test e trattamento non è risultata sufficiente per frenare l’epidemia. Tra il 2012 e il 2018 sono stati condotti quattro ampi studi con randomizzazione a cluster in Sudafrica, Zambia, Botswana, Kenya e Uganda, con lo scopo di valutare l’impatto delle politiche di test e trattamento universale (UTT) sull’incidenza HIV. Gli studi erano diversi l’uno dall’altro, ma tutti prevedevano un intervento con offerta di test HIV a domicilio e immediato invio
al trattamento di chiunque fosse risultato positivo.
Studio sulla PEP nei primati: due somministrazioni sufficienti per la protezione.
“È bello vedere ben tre presentazioni di studi dedicati alla profilassi post-esposizione (PEP), dopo che per diversi anni non ce n’era stata neanche una”, ha commentato la prof.ssa Sharon Hillier dell’Università di Pittsburgh, chair di questa sessione di CROI 2020. In uno degli studi presentati, due dosi di farmaco somministrate per via orale a sei macachi rhesus si sono rivelate in grado di proteggerli completamente dall’infezione, perfino iniettando loro il virus dell’immunodeficienza delle scimmie (e più precisamente il SIVMac) direttamente nell’organismo.
Insonnia associata a infarto nelle persone con HIV.
In uno studio presentato a CROI 2020 è stato osservato che le persone con HIV che soffrivano d’insonnia risultavano esposte a un rischio significativamente più elevato di infarto miocardico di tipo 2. Gli infarti miocardici (comunemente detti anche arresti cardiaci o attacchi di cuore) si suddividono in due tipologie. Il tipo 1 è provocato da un evento coronarico come la rottura di una placca o la fessurazione di un’arteria; invece il tipo 2 è dovuto a uno squilibrio tra richiesta e offerta di ossigeno collegata a ipertensione, sepsi o recente consumo di cocaina.
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Risposta da LilaMod al topic CROI 2020
SECONDO BOLLETTINO
Il trattamento con dolutegravir è l’opzione terapeutica più sicura ed efficace in gravidanza.
In uno studio denominato IMPAACT 2010, il trattamento antiretrovirale a base di dolutegravir è risultato associato con migliori tassi di abbattimento della carica virale al momento del parto. Un regime che comprendeva sia dolutegravir che tenofovir alafenamide è poi risultato associato a un numero inferiore di parti prematuri e morti neonatali rispetto a uno a base di efavirenz. In molti paesi si sta introducendo il trattamento a base di dolutegravir come terapia di prima linea per l’infezione da HIV. Nel 2018 erano state espresse preoccupazioni circa la sicurezza della somministrazione di dolutegravir nelle prime fasi di gravidanza, dopo che in uno studio condotto in Botswana erano inizialmente stati osservati tassi più alti di difetti del tubo neurale nei neonati. Tuttavia, dopo un follow-up a più lungo termine si è concluso che questo rischio è meno elevato di quanto paventato in un primo momento, e pertanto dal luglio 2019 l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda il dolutegravir a tutti, comprese le donne in età fertile.
Risposta all’emergenza coronavirus e implicazioni per le persone con HIV: parlano gli esperti.
Sono intervenuti questa settimana a CROI 2020 dei funzionari di salute pubblica provenienti da Stati Uniti e Cina a riferire in merito agli aggiornamenti sull’epidemiologia del nuovo coronavirus e sulla risposta all’emergenza. La Conferenza stessa si sta tenendo in modalità virtuale, con le presentazioni trasmesse via web, proprio per via delle preoccupazioni circa la diffusione di questa infezione. Sebbene non ci siano per il momento dati specifici relativi all’infezione da coronavirus in persone con HIV, hanno detto gli esperti, il rischio potrebbe essere elevato per gli individui con basse conte dei CD4 e per quelli che non hanno accesso regolare al trattamento.
Stati Uniti, anche dopo la revoca del divieto di donazione del sangue per gli omosessuali non aumentano i campioni infetti da HIV.
Da quando le autorità statunitensi hanno rivisto le direttive per la donazione di sangue da parte di uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) non si sono osservati aumenti nella percentuale di campioni di sangue donato che presentavano una recente infezione da HIV, è stato riferito questa settimana a CROI 2020. Il sangue raccolto viene sempre analizzato per verificare la presenza dell’HIV, ma c’è un cosiddetto ‘periodo finestra’ in cui i test non riescono a rilevare le infezioni più recenti: di conseguenza, un’esigua quantità di campioni di sangue infetto sfugge ai controlli. Dal momento che gli MSM hanno tassi di infezione da HIV molto più elevati del resto della popolazione, i legislatori tendono a impedire loro di donare. Per molti uomini gay e bisessuali, tuttavia, questa esclusione è stigmatizzante e discriminatoria.
L’abbassamento della carica virale a livello di comunità riduce l’incidenza HIV, ma non basta a eliminare il virus.
Dai dati aggregati di oltre 250.000 persone che hanno partecipato a programmi di ‘test and treat’ nell’Africa sub-sahariana arriva la conferma che riducendo la quantità di persone con HIV non virologicamente soppresse si riducono anche i tassi di nuove infezioni nelle rispettive comunità. Ma anche un’offerta così ampia di test e trattamento non è risultata sufficiente per frenare l’epidemia. Tra il 2012 e il 2018 sono stati condotti quattro ampi studi con randomizzazione a cluster in Sudafrica, Zambia, Botswana, Kenya e Uganda, con lo scopo di valutare l’impatto delle politiche di test e trattamento universale (UTT) sull’incidenza HIV. Gli studi erano diversi l’uno dall’altro, ma tutti prevedevano un intervento con offerta di test HIV a domicilio e immediato invio
al trattamento di chiunque fosse risultato positivo.
Studio sulla PEP nei primati: due somministrazioni sufficienti per la protezione.
“È bello vedere ben tre presentazioni di studi dedicati alla profilassi post-esposizione (PEP), dopo che per diversi anni non ce n’era stata neanche una”, ha commentato la prof.ssa Sharon Hillier dell’Università di Pittsburgh, chair di questa sessione di CROI 2020. In uno degli studi presentati, due dosi di farmaco somministrate per via orale a sei macachi rhesus si sono rivelate in grado di proteggerli completamente dall’infezione, perfino iniettando loro il virus dell’immunodeficienza delle scimmie (e più precisamente il SIVMac) direttamente nell’organismo.
Insonnia associata a infarto nelle persone con HIV.
In uno studio presentato a CROI 2020 è stato osservato che le persone con HIV che soffrivano d’insonnia risultavano esposte a un rischio significativamente più elevato di infarto miocardico di tipo 2. Gli infarti miocardici (comunemente detti anche arresti cardiaci o attacchi di cuore) si suddividono in due tipologie. Il tipo 1 è provocato da un evento coronarico come la rottura di una placca o la fessurazione di un’arteria; invece il tipo 2 è dovuto a uno squilibrio tra richiesta e offerta di ossigeno collegata a ipertensione, sepsi o recente consumo di cocaina.
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18/03/2020 12:47 - 20/03/2020 11:00 #4
da LilaMod
Stessa aspettativa di vita delle persone HIV-negative, molti meno gli anni in buona salute.
Uno studio sull’aspettativa di vita ha confermato ancora una volta che le persone HIV-positive che iniziano in tempo la terapia antiretrovirale (ART) e hanno un buon accesso alle cure vivono quanto i pari HIV-negativi. I ricercatori hanno scoperto però che i soggetti HIV-positivi presentavano altri problemi di salute per un lungo periodo, con comorbidità significative che in media insorgevano 16 anni prima rispetto ai soggetti HIV-negativi. Lo studio statunitense in questione si è concentrato nello specifico su pazienti con accesso all’assistenza sanitaria: tutti i partecipanti erano assicurati al Kaiser Permanente, centro specialistico integrato di assicurazione sanitaria e assistenza medica attivo in California, Virginia, Maryland e Distretto di Columbia.
Lo studio SEARCH rivela che l’approccio "test and treat" universale riduce l'HIV nei bambini.
Una campagna "test and treat" condotta su larga scala in alcune località del Kenya e dell’Uganda ha determinato una riduzione della trasmissione di HIV da madre a figlio e un minor numero di neonati affetti da HIV al termine dello studio. I risultati dello studio SEARCH sono stati presentati a CROI 2020. Nell’ambito dello studio SEARCH, i gruppi interessati sono stati randomizzati e sottoposti a uno standard di cura per l'HIV o a un programma basato su test intensificati, trattamento per tutti e invio semplificato all’assistenza sanitaria. Entro la fine del triennio di studio,l'80% delle persone affette da HIV nei gruppi d'intervento ha raggiunto la soppressione virale, rispetto al 68% dei gruppi sottoposti allo standard di cura.
Le vulnerabilità caratteristiche solo delle persone transgender richiedono interventi specifici e su misura.
Durante CROI 2020, tante presentazioni si sono occupate della ricerca condotta sulla prevalenza HIV, i rischi, l’accesso e l'aderenza alle cure in donne e uomini transessuali negli Stati Uniti, in Kenya e in Zimbabwe. A livello globale, le donne transessuali continuano a presentare alti tassi di HIV, con una prevalenza stimata intorno al 19%. Secondo alcune stime, la prevalenza negli uomini transessuali si attesta invece all’8%. Il dott. Asa Radix ha presentato dati relativi a 557 uomini transessuali di New York, metà dei quali non si era mai sottoposta al test per l’HIV. In coloro che si erano sottoposti al test, la prevalenza HIV ruotava intorno al 3%, mentre coloro che avevano partner cisessuali uomini la prevalenza era nettamente superiore, intorno all’11%.
Il vaccino per l'HIV che genera anticorpi ampiamente neutralizzanti supera il primo studio sulla sicurezza negli esseri umani.
A CROI 2020, la notizia di come gli scienziati abbiano sviluppato il primo vaccino che induce le cellule umane a generare anticorpi ampiamente neutralizzanti contro l'HIV. La maggior parte dei vaccini funziona inducendo le cellule B del sistema immunitario a produrre anticorpi. Sebbene in passato alcune sperimentazioni avessero dimostrato che certi vaccini per l'HIV possono indurre risposte anticorpali al virus, questi si sono rivelati inefficaci (come nel caso del recente studio HVTN 702) o solo marginalmente efficaci (come nello studio sul vaccino RV 144). Gli anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb) potrebbero costituire la base di potenti vaccini e trattamenti, anche grazie alla loro azione contro un'ampia varietà di ceppi virali.
Atlanta, gli MSM neri hanno il 60% di probabilità in meno di raggiungere la soppressione virale rispetto ai bianchi.
Da uno studio condotto ad Atlanta, Stati Uniti, è emerso che gli uomini che fanno sesso con gli uomini (MSM) di etnia nera raggiungono la soppressione virale in molti meno casi rispetto ai bianchi, con un 60% di probabilità in meno. L’Engagement Study, studio di coorte prospettico condotto a livello locale, ha raccolto dati clinici e comportamentali su 398 bianchi e neri HIV-positivi di Atlanta tra il 2016 e il 2017. Il campione era composto per metà da neri; il 33% dei neri e il 19% dei bianchi non avevano raggiunto la soppressione virale. L’età è stato un fattore non modificabile che ha contribuito alle differenze rilevate: gli uomini più giovani hanno infatti raggiunto in meno casi la soppressione virale. Altri fattori, invece, erano modificabili, tra cui accesso all’assistenza sanitaria, reddito, buone condizioni abitative e uso di marijuana. L’insieme di tutti questi fattori rappresentava completamente la disparità razziale.
Immunomodulatore elimina le lesioni anali precancerose.
Un farmaco attualmente approvato contro il mieloma (tumore delsangue) ha portato all’eliminazione delle lesioni anali precancerose causate dal papillomavirus umano (HPV) in uomini HIV-positivi e negativi, secondo un report presentato a CROI 2020. Il cancro anale e il suo precursore, la displasia anale (crescita anomala delle cellule e dei tessuti) sono molto più diffusi tra le persone affette da HIV rispetto alla popolazione generale. La fase II dello studio SPACE ha valutato l’efficacia del pomalidomide a basso dosaggio per il trattamento di lesioni anali di alto grado. Lo studio ha coinvolto 10 uomini HIV-positivi e 16 uomini HIV-negativi. A tutti i partecipanti erano state diagnosticate tramite biopsia lesioni di alto grado 3 presenti da almeno un anno e con una durata mediana di tre anni.
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Risposta da LilaMod al topic CROI 2020
TERZO BOLLETTINO
Stessa aspettativa di vita delle persone HIV-negative, molti meno gli anni in buona salute.
Uno studio sull’aspettativa di vita ha confermato ancora una volta che le persone HIV-positive che iniziano in tempo la terapia antiretrovirale (ART) e hanno un buon accesso alle cure vivono quanto i pari HIV-negativi. I ricercatori hanno scoperto però che i soggetti HIV-positivi presentavano altri problemi di salute per un lungo periodo, con comorbidità significative che in media insorgevano 16 anni prima rispetto ai soggetti HIV-negativi. Lo studio statunitense in questione si è concentrato nello specifico su pazienti con accesso all’assistenza sanitaria: tutti i partecipanti erano assicurati al Kaiser Permanente, centro specialistico integrato di assicurazione sanitaria e assistenza medica attivo in California, Virginia, Maryland e Distretto di Columbia.
Lo studio SEARCH rivela che l’approccio "test and treat" universale riduce l'HIV nei bambini.
Una campagna "test and treat" condotta su larga scala in alcune località del Kenya e dell’Uganda ha determinato una riduzione della trasmissione di HIV da madre a figlio e un minor numero di neonati affetti da HIV al termine dello studio. I risultati dello studio SEARCH sono stati presentati a CROI 2020. Nell’ambito dello studio SEARCH, i gruppi interessati sono stati randomizzati e sottoposti a uno standard di cura per l'HIV o a un programma basato su test intensificati, trattamento per tutti e invio semplificato all’assistenza sanitaria. Entro la fine del triennio di studio,l'80% delle persone affette da HIV nei gruppi d'intervento ha raggiunto la soppressione virale, rispetto al 68% dei gruppi sottoposti allo standard di cura.
Le vulnerabilità caratteristiche solo delle persone transgender richiedono interventi specifici e su misura.
Durante CROI 2020, tante presentazioni si sono occupate della ricerca condotta sulla prevalenza HIV, i rischi, l’accesso e l'aderenza alle cure in donne e uomini transessuali negli Stati Uniti, in Kenya e in Zimbabwe. A livello globale, le donne transessuali continuano a presentare alti tassi di HIV, con una prevalenza stimata intorno al 19%. Secondo alcune stime, la prevalenza negli uomini transessuali si attesta invece all’8%. Il dott. Asa Radix ha presentato dati relativi a 557 uomini transessuali di New York, metà dei quali non si era mai sottoposta al test per l’HIV. In coloro che si erano sottoposti al test, la prevalenza HIV ruotava intorno al 3%, mentre coloro che avevano partner cisessuali uomini la prevalenza era nettamente superiore, intorno all’11%.
Il vaccino per l'HIV che genera anticorpi ampiamente neutralizzanti supera il primo studio sulla sicurezza negli esseri umani.
A CROI 2020, la notizia di come gli scienziati abbiano sviluppato il primo vaccino che induce le cellule umane a generare anticorpi ampiamente neutralizzanti contro l'HIV. La maggior parte dei vaccini funziona inducendo le cellule B del sistema immunitario a produrre anticorpi. Sebbene in passato alcune sperimentazioni avessero dimostrato che certi vaccini per l'HIV possono indurre risposte anticorpali al virus, questi si sono rivelati inefficaci (come nel caso del recente studio HVTN 702) o solo marginalmente efficaci (come nello studio sul vaccino RV 144). Gli anticorpi ampiamente neutralizzanti (bNAb) potrebbero costituire la base di potenti vaccini e trattamenti, anche grazie alla loro azione contro un'ampia varietà di ceppi virali.
Atlanta, gli MSM neri hanno il 60% di probabilità in meno di raggiungere la soppressione virale rispetto ai bianchi.
Da uno studio condotto ad Atlanta, Stati Uniti, è emerso che gli uomini che fanno sesso con gli uomini (MSM) di etnia nera raggiungono la soppressione virale in molti meno casi rispetto ai bianchi, con un 60% di probabilità in meno. L’Engagement Study, studio di coorte prospettico condotto a livello locale, ha raccolto dati clinici e comportamentali su 398 bianchi e neri HIV-positivi di Atlanta tra il 2016 e il 2017. Il campione era composto per metà da neri; il 33% dei neri e il 19% dei bianchi non avevano raggiunto la soppressione virale. L’età è stato un fattore non modificabile che ha contribuito alle differenze rilevate: gli uomini più giovani hanno infatti raggiunto in meno casi la soppressione virale. Altri fattori, invece, erano modificabili, tra cui accesso all’assistenza sanitaria, reddito, buone condizioni abitative e uso di marijuana. L’insieme di tutti questi fattori rappresentava completamente la disparità razziale.
Immunomodulatore elimina le lesioni anali precancerose.
Un farmaco attualmente approvato contro il mieloma (tumore delsangue) ha portato all’eliminazione delle lesioni anali precancerose causate dal papillomavirus umano (HPV) in uomini HIV-positivi e negativi, secondo un report presentato a CROI 2020. Il cancro anale e il suo precursore, la displasia anale (crescita anomala delle cellule e dei tessuti) sono molto più diffusi tra le persone affette da HIV rispetto alla popolazione generale. La fase II dello studio SPACE ha valutato l’efficacia del pomalidomide a basso dosaggio per il trattamento di lesioni anali di alto grado. Lo studio ha coinvolto 10 uomini HIV-positivi e 16 uomini HIV-negativi. A tutti i partecipanti erano state diagnosticate tramite biopsia lesioni di alto grado 3 presenti da almeno un anno e con una durata mediana di tre anni.
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20/03/2020 10:55 - 20/03/2020 10:59 #5
da LilaMod
Dolutegravir associato a maggior aumento di peso post-parto rispetto all’efavirenz.
In due studi condotti su donne HIV-positive nell’Africa sub-sahariana si sono osservati aumenti di peso corporeo molto più cospicui nell’anno successivo al parto in partecipanti trattate con dolutegravir rispetto a quelle trattate con efavirenz. In uno di questi due studi, però, è emerso un altro elemento degno di nota: sebbene l’aumento di peso sia risultato più marcato con il dolutegravir, nelle partecipanti non si sono registrati aumenti più rilevanti di quelli osservati in donne HIV-negative, il che fa pensare che l’efavirenz possa limitare l’aumento di peso stesso.
Bambino con HIV in remissione a tre anni dall’interruzione del trattamento.
A CROI 2020 è stato riportato il caso di un bambino statunitense di quattro anni che aveva contratto l’infezione da HIV durante la gestazione e che aveva iniziato la terapia antiretrovirale (ART) nell’arco di due giorni dalla nascita, smettendo però di assumere i farmaci un anno dopo: oggi, a tre anni di distanza, il piccolo paziente continua ad essere virologicamente soppresso anche senza l’ausilio delle terapie. I farmaci antiretrovirali sono in grado di sopprimere la replicazione dell’HIV a lungo termine, ma tipicamente non appena se ne sospende l’assunzione i livelli di virus tornano a salire. Sono tuttavia stati descritti casi in cui questo rebound virale tarda a manifestarsi, e questo è tanto più probabile in bambini a cui i farmaci vengono somministrati molto precocemente.
Nuovi approcci per il dosaggio pediatrico.
Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandano la somministrazione di abacavir in soluzione liquida come terapia elettiva di prima linea per i bambini dai 28 giorni di vita in su, ma un dosaggio approvato per i bambini sotto i tre mesi non c’è. In uno studio condotto in Sudafrica e presentato a CROI 2020, la somministrazione due volte al giorno di una dose di 8 mg/kg di abacavir a neonati HIV-positivi, sia normopeso che sottopeso, è risultata sicura ed efficace. Il farmaco è stato somministrato in combinazione con lamivudina e lopinavir/ritonavir a 25 bambini. È stato poi presentato un secondo studio su sicurezza ed efficacia dell’abacavir in nove coorti osservazionali sudafricane che comprendevano bambini al di sotto dei tre mesi che avevano iniziato ad assumere la terapia antiretrovirale (ART) tra il 2006 e il 2017. Su 1275 bambini, a 931 è stato somministrato l’abacavir e a 344 la zidovudina. Nei bambini che assumevano abacavir si sono osservate meno interruzioni della terapia rispetto a quelli trattati con zidovudina. Fattori come l’inizio della somministrazione di abacavir nel primo mese di vita o il basso peso alla nascita del bambino non hanno mostrato di incidere negativamente sulla soppressione virale.
Malattia polmonare nei giovani e negli adulti.
La somministrazione di azitromicina una volta a settimana ha mostrato di ridurre la necessità di ricovero e gli episodi di esacerbazione acuta di malattia polmonare (comparsa di nuovi sintomi o peggioramento di sintomi pre-esistenti) in bambini e adolescenti HIV-positivi con malattia polmonare cronica in Malawi e Zimbabwe. La malattia polmonare cronica HIV-correlata è diffusa tra bambini e adolescenti nell’Africa sub-sahariana nonostante la terapia antiretrovirale, ed è causa di patologie anche gravi, tra cui le infezioni delle vie respiratorie.
L’inibitore del capside a lunga durata d’azione GS-6207 si conferma sicuro ed efficace.
In uno studio di fase Ib, l’inibitore del capside a lunga durata d’azione GS-6207 ha mostrato una potente attività antivirale virale oltre che un ottimo profilo di sicurezza, a quanto emerge dai risultati che sono stati presentati a CROI 2020. Nello studio è stato indagato il rapporto dose-risposta di GS-6207 somministrato con iniezioni sottocutanee sia in persone mai precedentemente sottoposte a terapia per l’HIV sia in persone che avevano già ricevuto il trattamento. I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere una singola somministrazione sottocutanea di GS-6207 (in dosi di 20, 50, 150, 450 o 750mg) oppure un placebo, e dieci giorni dopo hanno iniziato ad assumere la terapia antiretrovirale convenzionale.
Difficoltà di diagnosi HIV per chi assume la PrEP nelle prime fasi dell’infezione; rischio di farmacoresistenze se l’uso della PrEP è prolungato.
La PrEP, ossia l’assunzione regolare di farmaci per prevenire l’infezione da HIV, si è dimostrata incredibilmente efficace se presa esattamente come prescritto (e ciò vale sia se la si assume in maniera continua che intermittente, o on demand). Se l’aderenza è buona, sono molto rari i casi di fallimento: quando avviene, di solito è da imputare a una farmacoresistenza. Tuttavia l’assunzione di questi farmaci nelle prime fasi dell’infezione può ostacolare la diagnosi perché riduce o ritarda l’individuazione degli antigeni virali o della risposta immunitaria dell’organismo al virus. In uno studio condotto a San Francisco sono stati documentati undici casi di individui che assumevano la PrEP quando già avevano contratto un’infezione ancora non diagnosticata – casistica che nello studio è stata denominata di ‘sovrapposizione HIV/PrEP’.
Altre notizie da CROI 2020.
- Terapia contestosterone associata a progressione più rapida dell’arteriosclerosi in uomini HIV+
- Un terzo degliadolescenti e dei giovani in terapia antiretrovirale in Kenya non raggiunge la soppressione virale
- Alto rischio fibrosi per persone HIV-positive con steatosi epatica (‘fegato grasso’)
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Risposta da LilaMod al topic CROI 2020
BOLLETTINO CONCLUSIVO
Dolutegravir associato a maggior aumento di peso post-parto rispetto all’efavirenz.
In due studi condotti su donne HIV-positive nell’Africa sub-sahariana si sono osservati aumenti di peso corporeo molto più cospicui nell’anno successivo al parto in partecipanti trattate con dolutegravir rispetto a quelle trattate con efavirenz. In uno di questi due studi, però, è emerso un altro elemento degno di nota: sebbene l’aumento di peso sia risultato più marcato con il dolutegravir, nelle partecipanti non si sono registrati aumenti più rilevanti di quelli osservati in donne HIV-negative, il che fa pensare che l’efavirenz possa limitare l’aumento di peso stesso.
Bambino con HIV in remissione a tre anni dall’interruzione del trattamento.
A CROI 2020 è stato riportato il caso di un bambino statunitense di quattro anni che aveva contratto l’infezione da HIV durante la gestazione e che aveva iniziato la terapia antiretrovirale (ART) nell’arco di due giorni dalla nascita, smettendo però di assumere i farmaci un anno dopo: oggi, a tre anni di distanza, il piccolo paziente continua ad essere virologicamente soppresso anche senza l’ausilio delle terapie. I farmaci antiretrovirali sono in grado di sopprimere la replicazione dell’HIV a lungo termine, ma tipicamente non appena se ne sospende l’assunzione i livelli di virus tornano a salire. Sono tuttavia stati descritti casi in cui questo rebound virale tarda a manifestarsi, e questo è tanto più probabile in bambini a cui i farmaci vengono somministrati molto precocemente.
Nuovi approcci per il dosaggio pediatrico.
Le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandano la somministrazione di abacavir in soluzione liquida come terapia elettiva di prima linea per i bambini dai 28 giorni di vita in su, ma un dosaggio approvato per i bambini sotto i tre mesi non c’è. In uno studio condotto in Sudafrica e presentato a CROI 2020, la somministrazione due volte al giorno di una dose di 8 mg/kg di abacavir a neonati HIV-positivi, sia normopeso che sottopeso, è risultata sicura ed efficace. Il farmaco è stato somministrato in combinazione con lamivudina e lopinavir/ritonavir a 25 bambini. È stato poi presentato un secondo studio su sicurezza ed efficacia dell’abacavir in nove coorti osservazionali sudafricane che comprendevano bambini al di sotto dei tre mesi che avevano iniziato ad assumere la terapia antiretrovirale (ART) tra il 2006 e il 2017. Su 1275 bambini, a 931 è stato somministrato l’abacavir e a 344 la zidovudina. Nei bambini che assumevano abacavir si sono osservate meno interruzioni della terapia rispetto a quelli trattati con zidovudina. Fattori come l’inizio della somministrazione di abacavir nel primo mese di vita o il basso peso alla nascita del bambino non hanno mostrato di incidere negativamente sulla soppressione virale.
Malattia polmonare nei giovani e negli adulti.
La somministrazione di azitromicina una volta a settimana ha mostrato di ridurre la necessità di ricovero e gli episodi di esacerbazione acuta di malattia polmonare (comparsa di nuovi sintomi o peggioramento di sintomi pre-esistenti) in bambini e adolescenti HIV-positivi con malattia polmonare cronica in Malawi e Zimbabwe. La malattia polmonare cronica HIV-correlata è diffusa tra bambini e adolescenti nell’Africa sub-sahariana nonostante la terapia antiretrovirale, ed è causa di patologie anche gravi, tra cui le infezioni delle vie respiratorie.
L’inibitore del capside a lunga durata d’azione GS-6207 si conferma sicuro ed efficace.
In uno studio di fase Ib, l’inibitore del capside a lunga durata d’azione GS-6207 ha mostrato una potente attività antivirale virale oltre che un ottimo profilo di sicurezza, a quanto emerge dai risultati che sono stati presentati a CROI 2020. Nello studio è stato indagato il rapporto dose-risposta di GS-6207 somministrato con iniezioni sottocutanee sia in persone mai precedentemente sottoposte a terapia per l’HIV sia in persone che avevano già ricevuto il trattamento. I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere una singola somministrazione sottocutanea di GS-6207 (in dosi di 20, 50, 150, 450 o 750mg) oppure un placebo, e dieci giorni dopo hanno iniziato ad assumere la terapia antiretrovirale convenzionale.
Difficoltà di diagnosi HIV per chi assume la PrEP nelle prime fasi dell’infezione; rischio di farmacoresistenze se l’uso della PrEP è prolungato.
La PrEP, ossia l’assunzione regolare di farmaci per prevenire l’infezione da HIV, si è dimostrata incredibilmente efficace se presa esattamente come prescritto (e ciò vale sia se la si assume in maniera continua che intermittente, o on demand). Se l’aderenza è buona, sono molto rari i casi di fallimento: quando avviene, di solito è da imputare a una farmacoresistenza. Tuttavia l’assunzione di questi farmaci nelle prime fasi dell’infezione può ostacolare la diagnosi perché riduce o ritarda l’individuazione degli antigeni virali o della risposta immunitaria dell’organismo al virus. In uno studio condotto a San Francisco sono stati documentati undici casi di individui che assumevano la PrEP quando già avevano contratto un’infezione ancora non diagnosticata – casistica che nello studio è stata denominata di ‘sovrapposizione HIV/PrEP’.
Altre notizie da CROI 2020.
- Terapia contestosterone associata a progressione più rapida dell’arteriosclerosi in uomini HIV+
- Un terzo degliadolescenti e dei giovani in terapia antiretrovirale in Kenya non raggiunge la soppressione virale
- Alto rischio fibrosi per persone HIV-positive con steatosi epatica (‘fegato grasso’)
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