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Hiv Glasgow 2020
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26/10/2020 11:36 - 26/10/2020 11:37 #1
da LilaMod
Data: 6 - 10 luglio 2020
Autore: NAM - traduzione italiana a cura di LILA Onlus
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line del Congresso Internazionale sulla Farmacoterapia nell’infezione da HIV 2020 ( HIV Glasgow 2020 ), che si è tenuto in forma virtuale dal 5 all'8 ottobre 2020.
Hiv Glasgow 2020 è stato creato da LilaMod
Data: 6 - 10 luglio 2020
Autore: NAM - traduzione italiana a cura di LILA Onlus
LILA Onlus - Lega Italiana per la Lotta contro l'Aids, in collaborazione con NAM , è lieta di fornirti la copertura scientifica ufficiale on-line del Congresso Internazionale sulla Farmacoterapia nell’infezione da HIV 2020 ( HIV Glasgow 2020 ), che si è tenuto in forma virtuale dal 5 all'8 ottobre 2020.
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26/10/2020 11:49 #2
da LilaMod
Risposta da LilaMod al topic Hiv Glasgow 2020
Cabotegravir/rilpivirinain formulazione iniettabile a lunga durata d’azione.
Lo sviluppo di farmaci per la terapia dell'HIV che garantiscono una copertura nel tempo senza dover essere assunti quotidianamente è stato uno dei temi principali della conferenza HIV Glasgow 2020, tenutasi la scorsa settimana in modalità virtuale. Diverse sono state le presentazioni incentrate sulla soluzione terapeutica iniettabile a base di cabotegravir/rilpivirina, la combinazione farmaceutica a lunga durata d’azione (o long-acting) più vicina all'approvazione da parte delle autorità regolatorie.
Il cabotegravir è un inibitore dell’integrasi sperimentale, mentre la rilpivirina è un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (attualmente disponibile in forma di compressa con il nome di Edurant). I dati dello studio FLAIR, condotto su pazienti che assumevano la terapia antiretrovirale (ART) per la prima volta, hanno già dimostrato che oltre il 90% di chi riceve queste iniezioni mensili riesce ad abbattere la carica virale sotto la soglia di rilevabilità dopo 96 settimane di trattamento.
Disponibilità all’adesione e valutazioni di costo-efficacia dei regimi iniettabili.
Stando a quanto emerge da un sondaggio condotto su 688 partecipanti in Francia, Germania, Italia e Regno Unito, due terzi dei pazienti in trattamento per l'HIV sarebbero interessati a passare a un regime iniettabile a lunga durata d’azione.
I pazienti interessati allo switch terapeutico erano tendenzialmente più giovani, eterosessuali e nati all'estero, e avevano ricevuto più recentemente la diagnosi di HIV. Coloro che lamentavano specifici bisogni non soddisfatti hanno generalmente dichiarato che il regime iniettabile potrebbe rappresentare un valido aiuto: tra questi bisogni si possono ad esempio citare l’ansia all’idea di saltare per errore una dose, oppure il fastidio di essere ogni giorno costretti a ricordare di essere HIV-positivi, o le difficoltà a mantenere un’aderenza ottimale o ancora le preoccupazioni legate a questioni di riservatezza o privacy (perché per esempio si teme che l'assunzione quotidiana di pillole possa rivelare agli altri il proprio status di HIV-positivi).
Nuovo farmaco orale potrebbe essere assunto una sola volta a settimana.
Alla conferenza sono stati presentati i risultati degli studi volti alla definizione del dosaggio di un nuovo farmaco denominato MK-8507, appartenente alla classe degli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI), dai quali sembrerebbe di poter affermare che sia possibile somministrarlo una sola volta alla settimana.
Sono stati innanzitutto condotti studi preliminari su volontari HIV-negativi, che hanno aiutato a selezionare i dosaggi da sperimentare negli studi successivi e hanno dimostrato che l'assorbimento dei farmaci non era influenzato dall’assunzione di cibo.
L'impatto del COVID-19 sui servizi per l'HIV in Europa.
Da una serie di sondaggi a risposta rapida condotti da European AIDS Treatment Group (EATG) emerge che l'accesso ai test per l'HIV, alla PrEP e al trattamento dell'HIV ha subito significativi cambiamenti nel corso dell'epidemia di COVID-19. I risultati non solo documentano gli impatti negativi, ma danno anche conto delle soluzioni innovative attuate da un certo numero di organizzazioni attive sul territorio.
I servizi di offerta del test per l'HIV sembrano aver subito maggiori interruzioni della loro attività nei paesi che hanno attuato misure anti-COVID più restrittive, con l’offerta di test rapidi e servizi di prossimità spesso sospesi del tutto. Tuttavia, in molti luoghi c'è stato un aumento o almeno una non-diminuzione della disponibilità dei cosiddetti test fai-da-te, e molte ONG hanno messo in atto campagne per aumentare la conoscenza di questi strumenti diagnostici. La metà degli intervistati ha affermato che nella loro zona i test per le infezioni a trasmissione sessuale erano disponibili solo per infezioni acute ed emergenze, non per gli esami di routine.
L’inclusione delle donne negli studi clinici.
La sottorappresentazione delle donne negli studi clinici è motivata dalla volontà di proteggere loro e i bambini non ancora nati dai potenziali danni causati da un farmaco, ma questo si traduce in una forma di iniquità nei confronti delle donne stesse: per la maggior parte dei nuovi farmaci non si hanno infatti dati specifici su sicurezza, efficacia e tollerabilità nella popolazione femminile. Una sessione di HIV Glasgow ha per questo approfondito gli imperativi biologici, clinici ed etici che spingono per un maggiore coinvolgimento delle donne di ogni etnia nelle sperimentazioni
cliniche sull'HIV.
Certe differenze biologiche hanno implicazioni cliniche, ha spiegato alla Conferenza la dott.ssa Catherine Orrell. In generale, le donne pesano meno e hanno una percentuale più alta di grasso corporeo rispetto agli uomini, il che può alterare la farmacocinetica di un farmaco nel loro organismo. Anche le fluttuazioni ormonali che si verificano durante il ciclo mestruale e in gravidanza
incidono sul metabolismo dei farmaci.
L’aumento di peso in pazienti in trattamento HIV.
Nel suo intervento di apertura, il professor Andrew Carr del St Vincent's Hospital di Sydney ha esortato a considerare con più cautele le variazioni di grasso corporeo, ricordando come i giovani adulti HIV-negativi negli Stati Uniti arrivino ad aumentare anche di 1 kg all'anno. È vero infatti che ampi studi hanno evidenziato che, nel corso di diversi anni, le persone con HIV in trattamento antiretrovirale aumentano di peso – ma questo aumento li riporta solo a livelli non dissimili da quelli che tipicamente si osservano nelle società in cui vivono.
Svariati ampi studi hanno dimostrato che l'aumento di peso mediano nelle persone che iniziano il trattamento con un inibitore dell'integrasi è in linea con l'aumento di peso medio annuo nella popolazione generale. L'aumento di peso medio, invece, può essere molto più cospicuo in questi studi, essendo il dato falsato dalla presenza di una minoranza di casi anomali interessati da forti aumenti di peso.
Un intervento per i disturbi del sonno.
Molte persone che vivono con l'HIV lamentano disturbi del sonno. Un gruppo di medici britannici ha riferito che un questionario sulla qualità del sonno già validato per altre patologie si è dimostrato uno strumento affidabile, semplice e pratico per valutare i disturbi del sonno nelle persone con HIV.
Ai pazienti affetti da disturbi del sonno sono state fornite informazioni circa le buone abitudini da adottare per favorire il riposo, offrendo loro la possibilità, se opportuno, di cambiare regime antiretrovirale. A seguito di questi interventi la qualità del sonno degli interessati è migliorata, soprattutto tra coloro che hanno scelto di effettuare uno switch terapeutico da dolutegravir o un altro antiretrovirale.
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Lo sviluppo di farmaci per la terapia dell'HIV che garantiscono una copertura nel tempo senza dover essere assunti quotidianamente è stato uno dei temi principali della conferenza HIV Glasgow 2020, tenutasi la scorsa settimana in modalità virtuale. Diverse sono state le presentazioni incentrate sulla soluzione terapeutica iniettabile a base di cabotegravir/rilpivirina, la combinazione farmaceutica a lunga durata d’azione (o long-acting) più vicina all'approvazione da parte delle autorità regolatorie.
Il cabotegravir è un inibitore dell’integrasi sperimentale, mentre la rilpivirina è un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (attualmente disponibile in forma di compressa con il nome di Edurant). I dati dello studio FLAIR, condotto su pazienti che assumevano la terapia antiretrovirale (ART) per la prima volta, hanno già dimostrato che oltre il 90% di chi riceve queste iniezioni mensili riesce ad abbattere la carica virale sotto la soglia di rilevabilità dopo 96 settimane di trattamento.
Disponibilità all’adesione e valutazioni di costo-efficacia dei regimi iniettabili.
Stando a quanto emerge da un sondaggio condotto su 688 partecipanti in Francia, Germania, Italia e Regno Unito, due terzi dei pazienti in trattamento per l'HIV sarebbero interessati a passare a un regime iniettabile a lunga durata d’azione.
I pazienti interessati allo switch terapeutico erano tendenzialmente più giovani, eterosessuali e nati all'estero, e avevano ricevuto più recentemente la diagnosi di HIV. Coloro che lamentavano specifici bisogni non soddisfatti hanno generalmente dichiarato che il regime iniettabile potrebbe rappresentare un valido aiuto: tra questi bisogni si possono ad esempio citare l’ansia all’idea di saltare per errore una dose, oppure il fastidio di essere ogni giorno costretti a ricordare di essere HIV-positivi, o le difficoltà a mantenere un’aderenza ottimale o ancora le preoccupazioni legate a questioni di riservatezza o privacy (perché per esempio si teme che l'assunzione quotidiana di pillole possa rivelare agli altri il proprio status di HIV-positivi).
Nuovo farmaco orale potrebbe essere assunto una sola volta a settimana.
Alla conferenza sono stati presentati i risultati degli studi volti alla definizione del dosaggio di un nuovo farmaco denominato MK-8507, appartenente alla classe degli inibitori non-nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI), dai quali sembrerebbe di poter affermare che sia possibile somministrarlo una sola volta alla settimana.
Sono stati innanzitutto condotti studi preliminari su volontari HIV-negativi, che hanno aiutato a selezionare i dosaggi da sperimentare negli studi successivi e hanno dimostrato che l'assorbimento dei farmaci non era influenzato dall’assunzione di cibo.
L'impatto del COVID-19 sui servizi per l'HIV in Europa.
Da una serie di sondaggi a risposta rapida condotti da European AIDS Treatment Group (EATG) emerge che l'accesso ai test per l'HIV, alla PrEP e al trattamento dell'HIV ha subito significativi cambiamenti nel corso dell'epidemia di COVID-19. I risultati non solo documentano gli impatti negativi, ma danno anche conto delle soluzioni innovative attuate da un certo numero di organizzazioni attive sul territorio.
I servizi di offerta del test per l'HIV sembrano aver subito maggiori interruzioni della loro attività nei paesi che hanno attuato misure anti-COVID più restrittive, con l’offerta di test rapidi e servizi di prossimità spesso sospesi del tutto. Tuttavia, in molti luoghi c'è stato un aumento o almeno una non-diminuzione della disponibilità dei cosiddetti test fai-da-te, e molte ONG hanno messo in atto campagne per aumentare la conoscenza di questi strumenti diagnostici. La metà degli intervistati ha affermato che nella loro zona i test per le infezioni a trasmissione sessuale erano disponibili solo per infezioni acute ed emergenze, non per gli esami di routine.
L’inclusione delle donne negli studi clinici.
La sottorappresentazione delle donne negli studi clinici è motivata dalla volontà di proteggere loro e i bambini non ancora nati dai potenziali danni causati da un farmaco, ma questo si traduce in una forma di iniquità nei confronti delle donne stesse: per la maggior parte dei nuovi farmaci non si hanno infatti dati specifici su sicurezza, efficacia e tollerabilità nella popolazione femminile. Una sessione di HIV Glasgow ha per questo approfondito gli imperativi biologici, clinici ed etici che spingono per un maggiore coinvolgimento delle donne di ogni etnia nelle sperimentazioni
cliniche sull'HIV.
Certe differenze biologiche hanno implicazioni cliniche, ha spiegato alla Conferenza la dott.ssa Catherine Orrell. In generale, le donne pesano meno e hanno una percentuale più alta di grasso corporeo rispetto agli uomini, il che può alterare la farmacocinetica di un farmaco nel loro organismo. Anche le fluttuazioni ormonali che si verificano durante il ciclo mestruale e in gravidanza
incidono sul metabolismo dei farmaci.
L’aumento di peso in pazienti in trattamento HIV.
Nel suo intervento di apertura, il professor Andrew Carr del St Vincent's Hospital di Sydney ha esortato a considerare con più cautele le variazioni di grasso corporeo, ricordando come i giovani adulti HIV-negativi negli Stati Uniti arrivino ad aumentare anche di 1 kg all'anno. È vero infatti che ampi studi hanno evidenziato che, nel corso di diversi anni, le persone con HIV in trattamento antiretrovirale aumentano di peso – ma questo aumento li riporta solo a livelli non dissimili da quelli che tipicamente si osservano nelle società in cui vivono.
Svariati ampi studi hanno dimostrato che l'aumento di peso mediano nelle persone che iniziano il trattamento con un inibitore dell'integrasi è in linea con l'aumento di peso medio annuo nella popolazione generale. L'aumento di peso medio, invece, può essere molto più cospicuo in questi studi, essendo il dato falsato dalla presenza di una minoranza di casi anomali interessati da forti aumenti di peso.
Un intervento per i disturbi del sonno.
Molte persone che vivono con l'HIV lamentano disturbi del sonno. Un gruppo di medici britannici ha riferito che un questionario sulla qualità del sonno già validato per altre patologie si è dimostrato uno strumento affidabile, semplice e pratico per valutare i disturbi del sonno nelle persone con HIV.
Ai pazienti affetti da disturbi del sonno sono state fornite informazioni circa le buone abitudini da adottare per favorire il riposo, offrendo loro la possibilità, se opportuno, di cambiare regime antiretrovirale. A seguito di questi interventi la qualità del sonno degli interessati è migliorata, soprattutto tra coloro che hanno scelto di effettuare uno switch terapeutico da dolutegravir o un altro antiretrovirale.
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